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venerdì 20 gennaio 2012

Un anno...


Penso a come sta cambiando la mia vita, accoccolata sul mio vecchio sofà color cobalto, da tempo compagno di serate solitarie, passate in amicizia d’un libro e di una tazza di tè indiano, fumante e profumato … con uno scoppiettante camino intriso di gai e tristi ricordi, fin da quando ero bambina. Un altro anno sta giungendo alla fine del suo cammino, fra poche ore il rintocco di mezzanotte segnerà l’arrivo di un nuovo anno … già un nuovo anno. Da tempo gli anni si ripetevano copiosi, senza portare in sé nuove emozioni, ma ora è diverso: gli ultimi dodici mesi sono stati meravigliosi e mi hanno portato in dono nuovi amici, volti che hanno spazzato via la nebbia che da tempo aveva ingrigito, oltre che i miei capelli, anche il mio cuore .. sono vecchia, anche se oramai i tempi sono cambiato e una donna a settantacinque è considerata  semplicemente matura. Fino ad un anno fa  pensavo di aver già avuto tutto dalla vita e che non mi restasse altro che attendere, il più comodamente possibile, l’arrivo della compagna vestita di nero con la quale, prima o poi, tutti noi dobbiamo avere a che fare. Sono passati quindici anni dall’ultima volta che è venuta a farmi visita e si è portata via il mio amato e compianto marito. Sì,  sono quindici anni che sono rimasta vedova,  i primi dieci sono passati senza che me ne accorgessi: la mia unica figlia mi è stata molto vicina, però ha la sua famiglia, i figli crescono e io non voglio essere per lei un peso. Sono cinque anni che mi sono lasciata andare, ho smesso di guidare e mi sono chiusa in me stessa, pensavo sbagliando che la mia vita sociale fosse finita. Oh! come mi sbagliavo, e solo ora mi rendo conto del tempo che ho perso inutilmente.
La mia vita cambiò esattamente un anno fa, quando una giovane donna suonò alla mia porta e mi disse: “salve sono Francesca … sono la sua nuova vicina di casa, non so come siete abituati qui nel vostro quartiere, ma da dove vengo è usanza, per i nuovi venuti, organizzare una grande cena per conoscersi e perciò, se le va, domani sera a casa nostra ci sarà un barbecue … dimenticavo, non deve sentirsi in obbligo e portare solo se stessa!” Seguì una gioviale risata. Pensai che quella Francesca fosse una sfacciata, oltre che una scocciatrice e, con non poca aria di stupita sufficienza, risposi : “grazie dell’invito signorina, non posso assicurarglielo ma cercherò di non mancare, e ora mi scusi ma avrei alcune faccende urgenti da sbrigare.” Ci salutammo e ricordo che pensai che per complicarmi la vita ci mancavano solo dei vicini rumorosi  e casinisti.
Rimasi indecisa sino all’ultimo se recarmi a quella cena o declinare gentilmente l’invito con una scusa, poi pensando che non mi sarei di certo annoiata più che rivedere la replica del mio sceneggiato preferito, indossai un abito color salmone, misi sopra le spalle uno scialle nero appartenuto a mia nonna e impreziosii il tutto con il mio medaglione preferito, dono del mio defunto marito e mi guardai allo specchio: l’immagine che mi trovai di fronte era quello di una vecchia dal volto triste e malinconico, di un’anima capace ormai di vivere di riflessi passati, anche se devo ammettere che quell’abito non mi stava per niente male, quel colore sgargiante faceva un bellissimo contrasto con la mia carnagione scura e quello scialle d’antica fattura, mi donava un’aria esotica, di un’eleganza d’altra epoca; con rinnovato spirito presi alcuni dolcetti dal frigorifero, delle piccole e gustose praline al cioccolato che avevo preparato nel pomeriggio e mi diressi a quell’incontro, ancora con la certezza che sarei finita ad annoiarmi in un angolo del cortile, ma mi sbagliavo …
Arrivai alla casa dei miei nuovi vicini, suonai il campanello e venne ad aprirmi  una donna dall’indefinibile età, vagamente somigliante a quella che il giorno prima aveva bussato alla mia porta ma certamente più vecchia. Entrai e nel corridoio trovai altre persone, passammo per un’altra stanza, che parve essere un salottino da lettura, con un ampia parete attrezzata con una libreria all’apparenza ben fornita che dava direttamente sul cortile. Giunta in quel rigoglioso giardino m’accolse una solare Francesca, le porsi il piatto con le praline che lei lo affidò a un bimbo, a cui già brillavano gli occhi dalla gioia di poter gustare quelle prelibatezze. Con garbo ed eleganza, da vera ed esperta padrona di casa, mi prese per mano e mi presentò uno a uno agli altri invitati: tutti visi a me più o meno noti. La serata prese una piega inaspettata e ciò che avevo supposto fossero interminabili momenti da dimenticare, si dimostrarono per me essere l’inizio di una nuova vita. Passai quasi tutta la sera ad intrattenere , inventando storie e filastrocche, un gruppo di bambini distesa, come non facevo da anni, sul prato. Che gioia provai nel vedere sulle labbra di quei piccoli l’innocente stupore nell’ascoltare mie storie. Dopo quella serata mi sentii rinata e il peso dei miei anni mi sembrava solo un ricordo. Alcuni giorni dopo fui invitata, sempre a casa di Francesca, a prendere un tè e lì ebbi una piacevole sorpresa; alcuni genitori avevano notato la mia abilità nell’intrattenere i bambini, facendoli divertire con storie divertenti ed istruttive, mi dissero che era la prima volta che i loro figli si divertivano senza la necessità di supporti elettronici e virtuali. Tutti mi elogiarono, mi conoscevano come una persona riservata e taciturna e a nessuno avevo mai raccontato che ero una maestra in pensione, e che per me insegnare era stato non solo un lavoro, ma soprattutto una passione. Mi fece un’immensa gioia sapere che, la sera stessa della festa, al ritorno a casa, i bambini mi elogiarono e mi descrissero come la nonna delle favole, che non si preoccupava delle macchie sull’abito e che in ogni circostanza aveva sempre il sorriso, mi dissero che i bimbi erano felici e che, anche dopo alcuni giorni, ancora chiedevano di me e di quando avrebbero potuto nuovamente sentire le mie storie. Il mio è un quartiere di periferia, un tempo vivo e gioioso, ora invecchiato come i suoi abitanti. La scuola dove per lungo tempo ho insegnato  aveva classi numerose, mentre oggi quelle stanze, che hanno formato la mente di chi oggi è adulto, sono fatiscenti e abbandonate: la scuola è stata chiusa per mancanza di allievi. Ora però, come ogni cosa nel ciclo inarrestabile del tempo e della vita, ciò che muore rinasce e lentamente, man mano che i vecchi come me tornano nelle spire del tempo, cedendo il passo a chi ha ancora da percorrere il proprio sentiero, quelle case silenziose tornano ad animarsi di quelle candide voci, riportando la mia mente ad antichi e meravigliosi ricordi, quasi che il tempo si fosse fermato. Per me stare con quei bambini  era stato come rinascere, e quando mi proposero di diventare la baby sitter del quartiere fu per me come una nuova primavera dopo un lungo e grigio inverno. Ovviamente accettai con gioia, anche se la problematica maggiore fu il compenso, ma a differenza di quanto spesso accade era che io non volevo essere pagata, per me quell’attività era un piacere. I genitori però non vollero sentir ragioni, per paura di abusare del mio tempo. Alla fine raggiungemmo l’accordo che avremmo utilizzato i locali dell’oratorio della parrocchia, oramai fatiscenti e che avremmo utilizzato il contributo volontario che ogni genitore avrebbe potuto versare per donare nuova vita a quelle mura un tempo animate da canti e risa di giovani e bambini. Già dal giorno seguente alcuni genitori e nonni dei bambini si organizzarono per mettere in sicurezza i locali della parrocchia, da li a poche settimane iniziai la mia nuova attività di doposcuola con circa dieci bambini di varie età. Quella che inizialmente doveva essere una attività sporadica e saltuaria divenne un appuntamento quotidiano a cui si aggiunsero altri bambini di quartieri limitrofi, tanto che ebbi bisogno di aiuto e lo trovai in Martina e Giovanna, due mie ex colleghe, anch’esse da molti anni in pensione e come me desiderose di sentirsi ancora utili ed importanti. Fu in quelle aule, durante le vacanze natalizie che incontrai Vittorio, un baldanzoso giovanotto di ottant’anni, che mi fece conoscere una seconda giovinezza e scoprire nuovamente le gioie e la passione dell’amore. Era una freddo pomeriggio la neve era caduta copiosa ed abbondante, solo pochi bambini erano riusciti a raggiungere l’oratorio, mancavano pochi giorni a Natale, stavamo ripercorrendo la storia di Gesù bambino, quando vidi entrare un uomo infagottato e con il capo coperto da un passamontagna,  in compagnia di un piccolo angioletto, con un sorriso fuori dal comune. Era la prima volta che vedevo quel bambino, si erano appena trasferiti nel quartiere e Andrea, questo era il nome di quell’angelo riccioluto e biondo, avendo sentito parlare dell’oratorio e di Nonna di pan di zucchero, questo era il nome con cui mi chiamavano i bambini, aveva insistito talmente tanto, da convincere il nonno a sfidare la bufera di neve. Quando quell’uomo si tolse il copricapo e mi apparve davanti in tutto il suo fascino, con quei capelli argentei e quegli occhi verdi come il mare e luminosi come la luna, mi sentii una ragazzina di quindici anni che si è innamorata del principe dei sogni. Rimasi talmente imbambolata che mi ridestai solo quando quell’angelo nelle fattezza, ma dolce diavoletto nell’animo, mi strattonò la gonna e mi illuminò con un sorriso. Dopo quell’incontro casuale ne seguirono altri e Vittorio divenne un assiduo frequentatore dell’oratorio più che per stare con i bambini, per far da accompagnatore alla loro insegnate. Quell’uomo dalle mani d’oro in poco tempo trasformò l’oratorio, costruendo anche un piccolo teatrino con tanto di palco e di luci.
Mi ero presa una vera e propria cotta, la notte dopo il nostro primo incontro lo sognai: camminavo in montagna mano nella mano con quell’uomo, mentre ci dirigevamo verso una piccola baita di montagna, si vedeva il fumo che lento saliva verso il cielo. Quando entrammo uno scoppiettante camino ci attendeva con il suo caldo abbraccio e una coperta era già distesa ai suoi piedi con due calici di vino rosso che ci attendevano e lì, in quell’atmosfera i nostri corpi s’avvolsero come fiori al giungere della primavera. Mi sveglia di soprassalto e provai un certo imbarazzo per quel sogno licenzioso e soprattutto perché m’accorsi che anche il mio corpo rispondeva ancora a certe emozioni. Guardai l’orologio ed erano le sette, decisi di andare a fare una passeggiata sfidando il freddo che sicuramente mi avrebbe aiutato a raffreddare i bollenti spiriti.  Mi coprii ben bene e mi diressi verso il parco, deserto a quell’ora d’una giornata pre festiva: era l’antivigilia di natale, le scuole erano chiuse, le saracinesche dei pochi negozi rimasti nel quartiere abbassate e le strade erano ancora vuote. C’era solo il bar da Michele aperto, e decisi di andare a prendermi un buon caffè. Quando entrai il locale era silenzioso, c’era solamente un avventore intento a leggere il giornale, quando lo scostò vidi quei meravigliosi occhi verdi accompagnati da quel gioioso sorriso. Mi invitò a sedermi con lui e insistette per offrirmi la colazione. Parlammo per più di un’ora delle nostre vite: mi disse che era rimasto vedovo da alcuni anni, che viveva in un piccolo paese montano non molto lontano dalla città e che era venuto a passare le festività dalla figlia. Mi vergogno ad ammetterlo ma per tutto il tempo in cui parlò io me lo immaginavo ancora disteso sopra di me davanti a quel camino, con le sue labbra che si posavano sulle mie e le sue grandi mani che scivolavano sul mio corpo nudo. Non immaginò lontanamente quello che stavo pensando, ma quando mi disse che i miei occhi erano particolarmente luminosi e le mie guance rosse mi imbarazzai, anche perché il mio corpo era come un fiore su cui era caduta la brina. Dopo quella chiacchierata ci salutammo con un bacio sulla guancia, quasi fossimo due scolaretti al primo incontro e ci demmo appuntamento per il pomeriggio all’oratorio. Passarono i giorni e i nostri incontri “casuali” si fecero sempre più frequenti, così come i miei sogni notturni.
 Una mattina mi stavo dirigendo verso l’oratorio quando, girando un angolo di una casa mi scontrai contro una montagna di muscoli, avvolti in un elegante cappotto color cammello, che mi cinse in un abbraccio per evitare che cadessi. Dopo un primo attimo di spavento che subito divenne turbamento quando vidi quegli occhi verdi sempre più vicini che mi fissavano intensamente, sino a quando le nostre labbra s’unirono in un caldo e interminabile abbraccio.
Dopo quell’istante d’estasi tornai in me e dissi : “Vittorio! Che impertinente che è lei. È sua abitudine sedurre le signore per strada …”
Mi rivolse un sorriso e mi disse : “ solo quelle di cui mi sono pazzamente innamorato”.
Rimasi in silenzio e lo guardai, prima seria e poi mi abbandonai ad un dolce sorriso prima di sentire nuovamente il sapore delle sue calde labbra sulle mie. 
Come tutte le più belle cose anche quella breve vacanza giunse al termine, Vittorio dovette tornare a casa, ma come due giovincelli facevamo in modo d’incontrarci nei fine settimana, alcune volte andavo io da lui in autobus, ma molto più spesso scendeva lui con la scusa di andare a trovare il nipote. Un giorno la mamma di Andrea, nonché figlia di Vittorio, suonò alla mia porta e mi disse che aveva necessità di parlarmi di suo padre:   parlammo per ore, lei mi confidò che il padre si era preso una cotta per me, mi sorrise quando lesse sul mio volto l’imbarazzo per quelle parole, dopo poco ammisi che pure io nonostante al mia età mi ero innamorata di quel meraviglioso uomo, ma aggiunsi anche  che se a lei creava problemi avrei capito e smesso di vederlo, anche se mi sarebbe costato molto.  A queste mie mi strinse le mani, mi guardò negli occhi e mi disse: “ no, ne sono felice,  finalmente ho rivisto mio padre vivo, pieno di vita, sono venuta qui a parlarti perchè se non contraccambiavi i suoi sentimenti ti avrei pregato di farglielo capire, ma ora, che so che anche tu gli vuoi bene,  posso solo dirti che sono felice che tutto ciò sia accaduto.” L’abbracciai e le dissi di stare tranquilla.
Quello stesso pomeriggio avrei dovuto incontrare Vittorio al solito caffè, ero già pronta per uscire quanto sentii suonare alla porta: era mia figlia. Vedendomi tutta elegante e truccata, cosa per lei inusuale, essendo abituata a vedermi scialba e poco curata, con aria inquisitoria mi chiese spiegazioni e alla mia confidenza su Vittorio, definendolo semplicemente un amico,  reagì in modo brusco, con un impeto tale che non mi sarei mai aspettata; iniziò a dirmi che mi ero rimbambita, che alla mia età non potevo avere amicizie maschili, che comportandomi così avrei disonorato la memoria di suo padre, mettendomi in ridicolo e facendo diventare lei lo zimbello dello città. Poi uscì sbattendo la porta, dopo quella sfuriata non ebbi più la voglia e la forza di uscire, provai ad avvisare Vittorio al cellulare, ma il telefono risultava staccato, così gli mandai un messaggio, fingendo un leggero malessere. Rimasi in compagnai delle mie lacrime, fino a quando sentii suonare nuovamente alla porta, pensai che fosse mia figlia, andai ad aprire e mi ritrovai davanti l’uomo che  aveva ridestato il mio cuore, entrò con aria preoccupata e quando vide le lacrime che scivolavano sul mio viso, mi strinse a sè e mi chiese cosa stava succedendo. Gli raccontai della visita di sua figlia, tralasciando le confidenze che mi aveva fatto e di come mi aveva abbracciata, gli spiegai della sceneggiata di mia figlia. Gli dissi, guardandolo negli occhi, cosa provavo per lui.  Un tenero bacio sigillò quelle mie parole. Quella notte, come molte altre a seguire,  dormì da me e dopo alcuni mesi  si era trasferito  a casa mia e mi aiutava abitualmente con i bambini. Alla fine dell'estate decidemmo di consacrare quella nostra unione davanti al Signore e di renderla pubblica agli uomini. Fissammo la data delle nozze per il ventitré di dicembre, ad un anno esatto dal nostro primo bacio. Sono passati otto giorni da quel fatidico SI’ a cui seguì una meravigliosa festa, ovviamente nel cortile di Francesca a cui fu invitato tutto il quartiere. I bimbi avevano improvvisato un piccolo spettacolo e ci avevano deliziato con le loro voci. Ora posso dire di aver ricominciato veramente a vivere e di essere, dopo tanti anni, nuovamente felice. 
Unico neo di una favola a lieto fine? Mia figlia, non ha ancora accettato il fatto che mi sia risposata, anche se è venuta in chiesa e ho notato in lei una certa commozione. Con il tempo capirà e accetterà il fatto che possa essere felice anche senza suo padre, che ho amato e amerò sempre per il resto della mia vita.

Ora vi lascio e vado a prepararmi per la notte di San Silvestro: una bottiglia di champagne e dolci baci …


Patrizia Jorio

3 commenti:

  1. Stavolta mi hai fatto piangere!!! Questa me la paghi!!!! Mamma mia che racconto splendido!!

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  2. Anche stavolta mi hai gonfiato gli occhi di lacrime.
    Veramente splendido.
    Brava Patrizia.

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